Ed ecco che all'improvviso, la mia solita sfiga si accanisce di fatto contro di me.
Mi sono avviato al computer e l'ho acceso, ma nulla: nessun segno di vita. Non si avvia alcunché!
Controllo rapidamente, cercando di avviare Ubuntu in recovery, ma nulla nemmeno qua.
Prendo il CD Live e provo quindi ad avviare, e mi parte, allora controllo i dischi e trovo che sono a posto. Per sicurezza, da Live, faccio una ulteriore copia dei dati (presenti sul secondo disco) sul disco esterno, allo scopo di procedere con maggior rilassatezza, e poi controllo attentamente la situazione, e ben presto scopro che il primo dei miei due dischi (quello originale del computer) ha superato i limiti di vita media ed ha quindi esalato l'ultimo respiro!
Peccato che quello sia anche il disco dove c'è la partizione di sistema e la partizione della home, per non parlare del fatto che nel MBR c'è Grub, pronto a lanciare Ubuntu... e ora invece non c'è più nulla di tutto ciò. Nulla nel MBR, nessun dato visualizzabile nella partizione di home, e nulla nemmeno nella partizione di sistema...
Che cosa posso fare?
Scollego il bestione, apro il pannello e smonto i due dischi, sostituendo le connessioni, ricollego e rialimento, ma nulla... allora mi ricordo di aver letto una cosa una volta (che mi fa capire che come assemblatore di pc non valgo nulla): il disco primario è definito da un ponticello...
Riprendo i dischi, trovo il fatidico ponticello e lo sostituisco, trasformando di fatto il mio disco di archivio in un disco primario.
Rialimento di nuovo e riavvio di nuovo, e stavolta funziona, ma ovviamente non procede oltre la schermata iniziale non essendoci nulla di avviabile in quel disco. Ma quello che conta, per me, è che lo veda e funzioni.
Visto ciò, è ora di passare a qualcosa di adatto per sistemare il mio computer e permettere l'avvio.
Inserisco quindi il mio CD di strumenti speciali, e all'avvio scelgo Gparted.
Controllo e vedo che la partizione unica ha un certo spazio libero in coda, per cui penso di ridurla e mettere la partizione di sistema e la home, ma per qualche assurdo motivo, ho l'impulso di mettere queste partizioni prima della partizione unica di archivio, che implica dire a Gparted di ridurre e spostare la partizione esistente a destra... e questo implica circa un paio d'ore di lavoro...
Ok, procedo.
Dopo un paio d'ore, Gparted mi segnala che lo spostamento ha avuto successo, e posso quindi esalare tutto il respiro trattenuto provocando una tromba d'aria nel nordovest...
A quel punto, preparo le partizioni per installare la mia Ubuntu, ma mi rendo conto di una cosa: la mia 9.04 ha praticamente esaurito il suo supporto (siamo a fine ottobre 2010) e quindi decido che è il caso di passare alla nuova LTS, la 10.04, ma ho solo un drive per il CD/DVD.
Installo la 9.04, scarico e masterizzo la 10.04 desktop, riavvio e... nulla!
Non mi vede assolutamente niente, non parte proprio nulla, nemmeno in versione Live. Ok, lo so che la mia scheda video richiede dei driver specifici, ma dovrebbe partire lo stesso con i Vesa, anche se lasciandomi una risoluzione da cecati... ma nulla di nulla.
Le combinazioni di tasti CTRL-ALT-Fn non servono a nulla: nessun passaggio alla consolle, nessuna possibilità di procedere in nessun modo.
Levo il CD e riavvio, scarico la versione alternate e masterizzo quella, riprovo e stesso identico discorso... non riesco a installare Ubuntu 10.04!
Mi rompe un po', ma c'è poco da fare: dopo 4 anni di convivenza devo per forza lasciare Ubuntu!
Cosa fare? Cambio distribuzione, che altro posso fare?
Analizzo il mondo delle distro aprendo distrowatch, e comincio a farmi un paio di conti: oltre a Ubuntu quella che conosco meglio è Debian, ma anche con quella ci sarebbero problemi col driver della scheda video, e inoltre ha un certo ritardo nello sviluppo, rispetto a Ubuntu: rischio di trovarmi a recedere, inoltre c'è una cosa che mi infastidisce: quando usavo Debian, avevo un sacco di difficoltà con l'utilizzo di Wine e di Virtualbox (per me indispensabili), e a quanto vedo nei vari forum, le cose non sono migliorate da quel punto di vista.
Cosa rimane? Le rpm non le digerisco molto bene: Mandriva e OpenSuse non le sopporto, PcLinuxOs è l'unica rpm che tollero, ma non è il massimo nemmeno lei.
Slackware? Provata, ma nulla di veramente speciale e poi di default monta quell'ambiente grafico nauseante (ok, lo so che si può cambiare, ma è impossibile per me riuscire a orientarmi nell'incasinatissimo menù di Kde).
Gentoo? Ottima, ma troppo incasinata la storia delle compilazioni costanti per qualsiasi cosa si debba installare (che poi non mi darebbero nemmeno tutto questo vantaggio, non essendo in fondo un computer così antiquato...)
Arch? Ecco, quando l'avevo usata tempo fa mi era sembrata acerba, ma è una distribuzione in continuo sviluppo, e continuamente aggiornata, quindi perchè non riprovarci? Peraltro di recente alcuni post su uno dei blog che seguo mi hanno fatto ricredere sulle attuali capacità di questa distribuzione.
E Arch fu!
Avevo ancora il CD per l'installazione da rete dal tempo che fu, e avevo anche la guida per l'installazione stampata.
Procedo...
Arch è veloce da installare e semplice da configurare, seguendo passo passo la guida, e i driver per la scheda video sono semplicissimi da installare (in fondo è una Nvidia, solo che Ubuntu e Debian non la riconoscono al primo colpo, e infatti mi ero fatto uno script che procedeva alla reinstallazione a seguito ad aggiornamento del kernel, script comodo da lanciare in modalità testuale, se la combinazione CTRL-ALT-Fn avesse funzionato...)
Dopo poco tempo, una nuova versione dello gnomo (anche se diversa da come lo ricordavo su Ubuntu) torna a sorridermi dal mio computer (si: non essendo molto pratico, ho messo come ambiente uno famigliare e pratico: non eccessivamente minimale come Openbox e non iper-incasinatissimo come Kde: un semplice, banale, comodo e pratico Gnome, in attesa di impratichirmi quel tanto che basta a passare nuovamente a un ambiente grafico leggerissimo e scattante e altamente personalizzabile come Openbox).
Le configurazioni procedono facilmente (specie considerando che recupero molto dalle copie che avevo salvato sul disco esterno) e ben presto ho di nuovo un ambiente confortevole.
La guida su pacman (il gestore di pacchetti di Arch) mi rivela molte cose, e ancora di più ne apprendo utilizzando AUR.
E ben presto, decido di passare alla sessione mista Gnome/Openbox (tanto vedo che il consumo di risorse è comunque inferiore a quello che avevo con Ubuntu in sessione mista).
Però, una cosa non riesco a fare: non riesco a sopportare che debba abbandonare Ubuntu così: ormai la conosco, conosco molti trucchi per farla funzionare, i miei programmi principali sono tutti deb (e quindi non facilmente utilizzabili su Arch) e poi, diciamocelo, un po' di nostalgia ce l'ho...
Decido di fare un ultimo tentativo: scarico e masterizzo il CD della versione “autunnale” 9.10 (il koala) e provo a vedere se viene riconosciuto.
La partenza da CD Live funziona, non riconosce la scheda video ovviamente ma i driver Vesa riescono comunque a farmi avere un desktop grafico, visto che anche in questo caso CTRL-ALT-Fn non funziona assolutamente.
Non sto nemmeno a preoccuparmi del fatto che il gestore driver mi dica che ha trovato il driver per la mia scheda video, visto che non ho modo di riavviare una sessione Live, e nemmeno mi preoccupo che mi venga segnalato che il secondo disco è in fin di vita (ormai i danni sono già successi), ma mi preoccupo di aprire subito Gparted e ritoccare nuovamente le partizioni.
Arch mi piace, ma in attesa di imparare a usarla appieno, ho bisogno di un ambiente funzionante.
Libero un altro po' di spazio e mi creo un dual-boot, e creo una nuova partizione logica dove installo Ubuntu 9.10 con filesystem ext4.
Al termine dell'installazione, il sistema parte, funziona, anche se è pesantuccio (strano, ma ho notato nel tempo che le versioni autunnali di Ubuntu sono più pesanti di quelle primaverili, sarà che avvicinandosi il freddo, devono mettere un abbigliamento più spesso?), trova il driver della scheda video e lo installa, faccio il minimo di aggiornamenti e riavvio.
Era talmente tanto tempo che non avevo un desktop Gnome di Ubuntu, che tutti gli automatismi mi sembrano strani, come mi sembra strana la storia che le finestre non si arrotolano e non posso passare da un desktop all'altro con la rotella del mouse (le incredibili limitazioni assurde di metacity) e i consumi sono elevatissimi (va bene: Ubuntu installa Compiz di default, ma diamine, lo gnomo di Arch è molto più leggero, anche se è di fatto molto più scarno...)
Procedo ulteriormente con una cosa che normalmente fa casini, se fatta dopo un po' di tempo, ma io ho appena completato l'installazione: aggiorno il sistema alla versione 10.04, la lince, la versione LTS.
E' solo una prova, al massimo estirpo tutto e rimetto jaunty con Openbox (anche se non è più supportata), in attesa di imparare bene Arch, quindi non mi preoccupo moltissimo. Eppure, l'aggiornamento ha successo: per la prima volta, dopo 6 mesi dalla nascita, riesco a vedere il desktop della lince! (si, lo so che non è poi nulla di speciale, soprattutto per via di quella cavolata di spostare i pulsanti delle finestre dove non servono a un cavolo... ma questo è niente: un ritocchino su gconf-editor e si ripristinano le cose come devono essere...)
Ed eccomi qua, con un computer con ormai solo un disco, in cui funzionano quindi sia Arch che Ubuntu.
Arch la utilizzo con un ambiente misto Gnome/Openbox, Ubuntu invece l'ho trasformata quasi subito in Xubuntu, eliminando il suo pesantissimo Gnome e sostituendolo con un Xfce scattante e prestante (ma ho installato solo l'ambiente Xfce, non il meta-pacchetto Xubuntu-desktop, per evitare le infinite dipendenze che si porta dietro e che avevo già levato da Ubuntu, anche se alcune librerie del tutto inutili non riesco comunque a levarle, visto che si porterebbero dietro mezzo sistema, ma chi sono io per dire qualcosa a coloro che pacchettizzano Ubuntu?).
Sto quindi apprezzando entrambi gli ambienti ed entrambe le distribuzioni, man mano che imparo a conoscere le prestazioni di Arch.
Purtroppo, ho capito che questa sarà l'ultima versione di Ubuntu a funzionare nel mio computer: se non riuscirò a procedere con una nuova installazione come mi è capitato, difficilmente un aggiornamento da LTS a LTS avrà successo, con 2 anni di configurazioni e personalizzazioni da gestire (peraltro, per procedere a tale aggiornamento con un maggior margine di possibilità di successo, è indispensabile installare il meta-pacchetto di cui sopra, con conseguente installazione di millemila pacchetti totalmente inutili per me, che dovrei poi procedere immediatamente a rimuovere, e francamente comincio a stufarmi di questa mania degli aggiornamenti periodici, oltre che del fatto che sovente spuntano problemi nel passaggio alla nuova versione: forse è meglio vedere una versione rolling, dove ogni elemento si aggiorna per conto suo, e dove non è necessario reinstallare tutto ogni tot mesi...).
Ma sto imparando a usare Arch, e forse nel 2013, quando scadrà il supporto per la lince, forse solo una distribuzione continuerà a esistere nel mio computer, sempre che il mio catorcio ci arrivi, a quella data... :-)
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martedì 26 ottobre 2010
sabato 2 ottobre 2010
Ritorno a casa
Finalmente sono alla stazione di Milano centrale.
Che ci faccio a Milano, specie dopo che ho giurato e spergiurato di non tornarci mai più, visto che ogni volta mi sono trovato malissimo?
Ci ho fatto un colloquio di lavoro, ecco che ci ho fatto. Un colloquio che spero possa dare i suoi frutti, ma che mi obbligherà a giocare le mie carte in un modo diverso da quello che avevo preventivato, ma non è questo il succo del discorso che stavo iniziando.
Al termine del colloquio, sono tornato verso la stazione per prendere il treno e tornare a Torino il più presto possibile: io detesto Milano! Si, la detesto: è una megalopoli immensa, caotica, invivibile, insopportabile. L'aria stessa è aliena.
Turisticamente non mi soddisfa affatto, e nemmeno stavolta mi ha soddisfatto, con tutto che, all'uscita dal colloquio, al posto di tornare direttamente alla stazione rifacendo all'inverso il percorso iniziale, ho proseguito da un'altra direzione portandomi verso la zona centrale “turistica”, ho rivisto folle immense di ogni nazionalità, monumenti caratteristici e imponenti, monumenti che visti una volta basta e avanza.
Ho trovato un giardino dove, seduto su una panchina, ho soddisfatto le esigenze del mio stomaco con una pizzetta e una bottiglietta d'acqua, prima di tornare alla stazione.
Entro nell'edificio e scopro dal tabellone che, a breve, un treno regionale sarebbe partito per Torino, il mio cuore ha esultato di felicità a quella vista, potevo tornare a casa molto prima del previsto.
Il tabellone non dava indicazioni sul binario, ma non conta molto per un esperto viaggiatore come me: avevo visto chiaramente che il tabellone degli arrivi segnalava l'arrivo di un treno da Torino circa una ventina di minuti prima, e si sa che è lo stesso treno che ripartirà per il viaggio di ritorno, per cui mi approssimo al binario dove dovrebbe arrivare.
Ho con me il biglietto, e mi avvicino alla macchinetta per timbrare, ma non funziona, allora mi sposto sull'altro binario e anche lì la macchinetta non funziona, procedo verso l'altro binario ancora e finalmente riesco a timbrare, poi torno al binario dov'è arrivato il treno, dove una folla immensa con in comune solo un'espressione vuota e spenta si riversa sul marciapiedi della stazione, trainando valige e camminando incurante verso le proprie destinazioni, mi sono rivisto nella scena della mattinata, mentre anch'io ero in mezzo a una folla simile, ma ora non era un problema: ora tornavo a casa, il mio sguardo non era più spento, il mio animo era nuovamente sereno e non più oppresso da cupi segnali di tenebra.
La folla che aspettava invece di accalcarsi sul treno era apparentemente più serena, ma anche in loro gli sguardi erano spenti, si poteva chiaramente intuire che ognuno di loro aveva dovuto rinunciare a moltissimi sogni, per vivere la propria esistenza.
La folla si lancia di corsa verso le carrozze in testa, per fare poca strada all'arrivo a Torino, ma io non ho problemi a camminare: è tutto il giorno che cammino, visto che la mia destinazione era al di fuori del tragitto delle metropolitane e non ho avuto altro metodo che ricorrere al “pedonibus”.
Salgo nella carrozza di fondo ed entro nel vagone, dove il caldo sparge l'odore di tutto quello che c'era dentro fino a pochi minuti prima: odori di plastica, di ferro, di finta pelle dei sedili, odori di tutti i passeggeri precedenti, odori dei cibi che qualcuno ha mangiato durante il viaggio, odori di un treno appena giunto a una stazione.
I regionali non hanno scompartimenti, ma un corridoio centrale e due file di posti per lato, raggruppati a salottino in numero di quattro. Io entro e mi accomodo sul primo posto accanto al finestrino, nella direzione di marcia (ho bisogno di vedere in direzione di casa, non di vedere nuovamente verso Milano), e ben presto il vagone si riempie.
Di fronte a me siede una coppia giovane con un bimbetto di pochi mesi, in braccio a lei, ma dopo alcuni istanti lei si sposta nel sedile accanto al mio, evidentemente per non essere disturbata dal viaggiare contromano, e mi permette di distendere un po' le gambe (quei sedili sono letali per le persone alte come me).
Sento l'altoparlante dare il segnale di partenza, quando entra una ragazza nel vagone, una ragazza che parla al telefonino in tono alterato: sta litigando con qualcuno.
Si siede furiosamente nel posto di fronte a me, obbligandomi a ritirare le gambe contro il sedile, e continua a parlare in tono nervoso e irato al telefonino, parla con qualcuno che non può essere altro che il fidanzato ed evidentemente hanno appena litigato, le parole sono crudeli e feroci, come in ogni litigio.
Il treno parte e lei continua a litigare, finché imprecando stacca la comunicazione e poi continua a imprecare, mentre le lacrime escono dai suoi occhi e scendono lungo le sue guance.
Nessuno ha però il coraggio di dirle qualcosa, in una società come la nostra dove rivolgere la parola a una sconosciuta può significare beccarsi una denuncia e finire sotto processo in trasmissioni come “forum”, per soddisfare le brame di qualche idiota in cerca di notorietà.
Io sono tra i meno coraggiosi, e mi volto immediatamente a guardare il panorama, cercando sempre di anticipare con lo sguardo i segni evidenti del mio rientro in Piemonte, a Torino, a casa...
Anche gli altri evitavano di guardarla, lasciandole quel minimo di privacy che è quasi impossibile trovare in questi vagoni, o forse evitando di venire coinvolti nella sua furia (vero che stava piangendo, ma non era in pericolo di vita: nessuno sarebbe stato accusato di omissione di soccorso).
Superata la stazione di Rho Fiera, mi rendo conto che in realtà non sto vedendo nulla, perché il mio cervello pensava ad altro... no, non pensavo alla sconosciuta che sedeva di fronte a me e di cui vedevo ogni tanto il volto riflesso nel finestrino non eccessivamente pulito.
La mia mente divagava verso un pensiero fisso, il pensiero di una persona speciale: una donna, una donna speciale.
Le avevo telefonato poco prima, appena uscito dal colloquio, mentre tornavo verso la stazione, ma sentivo nuovamente la sua mancanza, e senza nemmeno accorgermene, ho preso il cellulare dalla tasca e ho cominciato a scriverle un messaggio.
Una strana sensazione mi ha fatto percepire di essere osservato, e infatti mi accorgo che la ragazza di fronte mi sta guardando mentre digito, ma il suo sguardo era ancora cupo, gli occhi arrossati e l'espressione triste ma quasi feroce: non ho avuto il coraggio di rivolgerle la parola e ho continuato a digitare fingendo di non vederla (era anche un modo per estraniarsi dal resto dell'ambiente, in fondo).
Evidentemente stavo sorridendo, mentre scrivevo, per cui non è stato difficile capire quali fossero i miei pensieri.
Non mi ero nemmeno accorto che avevamo superato Magenta, mentre scrivevo (ok, sono lentissimo a scrivere, lo ammetto) ma all'improvviso, mentre si avvicinava il Ticino e quindi l'ingresso in Piemonte, e mentre mi tornavano in mente vecchi ricordi su rituali di ritorno che facevo un tempo con altri compagni di viaggio, al momento di attraversare il fiume ed entrare nelle terre leggendarie, ecco che, come un meraviglioso benvenuto, il telefonino comincia a vibrare nella mia mano, attaccando immediatamente a squillare e visualizzando il numero di lei, come se avesse percepito i miei pensieri.
Rispondo immediatamente, malgrado l'affollamento e la confusione dentro il treno, sorridendo felice mentre le parlavo, ebbro di gioia al suono della sua dolcissima voce, delle sue risate allegre e gioiose, del suo tono che si abbassa come a sussurrare quando mi dice che mi vuole bene, e di mille altri particolari che nemmeno io saprei descrivere, eppure sono tutti parte di lei e mi piacciono tutti...
Nemmeno mi rendevo conto del pienone del treno, come non mi sono accorto che la ragazza di fronte ha continuato a guardarmi per tutto il tempo della telefonata.
Quando ho concluso la telefonata, ho ripreso a scrivere il messaggio lasciato a metà (si, lo ripeto: sono lentissimo a scrivere messaggi) e infine l'ho inviato, senza nemmeno accorgermi della mia espressione (l'unico vantaggio di essere un vampiro è che non mi vedo negli specchi... ;) )
Un attimo dopo, malgrado la simulazione di privacy che cercavo di lasciare alla mia “compagna di viaggio”, mi accorgo che la ragazza piglia il cellulare, ma io ho ricominciato a guardare fuori: ormai siamo in vista di Novara e il treno comincia a rallentare, ed essendo ormai entrati in Piemonte (anche se Novara non è propriamente Piemonte), i miei occhi cercano di intravedere i segni della vicinanza di casa, ma ovviamente qua siamo ancora parecchio distanti.
L'ho detto: è impossibile rispettare la privacy degli altri, su questi treni, infatti, pur non volendo, ho ascoltato la sua telefonata come lei aveva ascoltato la mia prima.
Ho sentito che la ragazza ha telefonato al fidanzato, col quale aveva litigato mezz'ora prima, alla partenza da Milano, e ho sentito anche che non piangeva e non urlava più, anzi, la sua voce sembrava serena e allegra, ma ho continuato a fissare il panorama del caratteristico campanile di Novara che diventava sempre più grande e vicino, segno che anche la stazione si avvicinava.
Guardavo fuori, ma non ho potuto fare a meno di sentire che si stava riappacificando, e soprattutto non ho potuto fare a meno di sentirla dire: «Scendo qua a Novara e torno indietro col primo treno, mi aspetti alla stazione?»
Un attimo dopo, il treno si è fermato a Novara e lei si è alzata per scendere, io mi sono scostato per lasciarla passare e lei mi ha sorriso e ringraziato, anche se non ho capito se mi ha ringraziato per essermi scostato e averla lasciata passare o se c'entrasse qualcosa la mia espressione durante la telefonata e la scrittura del messaggio, che l'hanno indotta a rappacificarsi col suo fidanzato... in fondo, se era valido il primo motivo, per quale ragione avrebbe dovuto poi voltarsi verso di me e salutarmi sorridendo dal finestrino appena scesa?
Che ci faccio a Milano, specie dopo che ho giurato e spergiurato di non tornarci mai più, visto che ogni volta mi sono trovato malissimo?
Ci ho fatto un colloquio di lavoro, ecco che ci ho fatto. Un colloquio che spero possa dare i suoi frutti, ma che mi obbligherà a giocare le mie carte in un modo diverso da quello che avevo preventivato, ma non è questo il succo del discorso che stavo iniziando.
Al termine del colloquio, sono tornato verso la stazione per prendere il treno e tornare a Torino il più presto possibile: io detesto Milano! Si, la detesto: è una megalopoli immensa, caotica, invivibile, insopportabile. L'aria stessa è aliena.
Turisticamente non mi soddisfa affatto, e nemmeno stavolta mi ha soddisfatto, con tutto che, all'uscita dal colloquio, al posto di tornare direttamente alla stazione rifacendo all'inverso il percorso iniziale, ho proseguito da un'altra direzione portandomi verso la zona centrale “turistica”, ho rivisto folle immense di ogni nazionalità, monumenti caratteristici e imponenti, monumenti che visti una volta basta e avanza.
Ho trovato un giardino dove, seduto su una panchina, ho soddisfatto le esigenze del mio stomaco con una pizzetta e una bottiglietta d'acqua, prima di tornare alla stazione.
Entro nell'edificio e scopro dal tabellone che, a breve, un treno regionale sarebbe partito per Torino, il mio cuore ha esultato di felicità a quella vista, potevo tornare a casa molto prima del previsto.
Il tabellone non dava indicazioni sul binario, ma non conta molto per un esperto viaggiatore come me: avevo visto chiaramente che il tabellone degli arrivi segnalava l'arrivo di un treno da Torino circa una ventina di minuti prima, e si sa che è lo stesso treno che ripartirà per il viaggio di ritorno, per cui mi approssimo al binario dove dovrebbe arrivare.
Ho con me il biglietto, e mi avvicino alla macchinetta per timbrare, ma non funziona, allora mi sposto sull'altro binario e anche lì la macchinetta non funziona, procedo verso l'altro binario ancora e finalmente riesco a timbrare, poi torno al binario dov'è arrivato il treno, dove una folla immensa con in comune solo un'espressione vuota e spenta si riversa sul marciapiedi della stazione, trainando valige e camminando incurante verso le proprie destinazioni, mi sono rivisto nella scena della mattinata, mentre anch'io ero in mezzo a una folla simile, ma ora non era un problema: ora tornavo a casa, il mio sguardo non era più spento, il mio animo era nuovamente sereno e non più oppresso da cupi segnali di tenebra.
La folla che aspettava invece di accalcarsi sul treno era apparentemente più serena, ma anche in loro gli sguardi erano spenti, si poteva chiaramente intuire che ognuno di loro aveva dovuto rinunciare a moltissimi sogni, per vivere la propria esistenza.
La folla si lancia di corsa verso le carrozze in testa, per fare poca strada all'arrivo a Torino, ma io non ho problemi a camminare: è tutto il giorno che cammino, visto che la mia destinazione era al di fuori del tragitto delle metropolitane e non ho avuto altro metodo che ricorrere al “pedonibus”.
Salgo nella carrozza di fondo ed entro nel vagone, dove il caldo sparge l'odore di tutto quello che c'era dentro fino a pochi minuti prima: odori di plastica, di ferro, di finta pelle dei sedili, odori di tutti i passeggeri precedenti, odori dei cibi che qualcuno ha mangiato durante il viaggio, odori di un treno appena giunto a una stazione.
I regionali non hanno scompartimenti, ma un corridoio centrale e due file di posti per lato, raggruppati a salottino in numero di quattro. Io entro e mi accomodo sul primo posto accanto al finestrino, nella direzione di marcia (ho bisogno di vedere in direzione di casa, non di vedere nuovamente verso Milano), e ben presto il vagone si riempie.
Di fronte a me siede una coppia giovane con un bimbetto di pochi mesi, in braccio a lei, ma dopo alcuni istanti lei si sposta nel sedile accanto al mio, evidentemente per non essere disturbata dal viaggiare contromano, e mi permette di distendere un po' le gambe (quei sedili sono letali per le persone alte come me).
Sento l'altoparlante dare il segnale di partenza, quando entra una ragazza nel vagone, una ragazza che parla al telefonino in tono alterato: sta litigando con qualcuno.
Si siede furiosamente nel posto di fronte a me, obbligandomi a ritirare le gambe contro il sedile, e continua a parlare in tono nervoso e irato al telefonino, parla con qualcuno che non può essere altro che il fidanzato ed evidentemente hanno appena litigato, le parole sono crudeli e feroci, come in ogni litigio.
Il treno parte e lei continua a litigare, finché imprecando stacca la comunicazione e poi continua a imprecare, mentre le lacrime escono dai suoi occhi e scendono lungo le sue guance.
Nessuno ha però il coraggio di dirle qualcosa, in una società come la nostra dove rivolgere la parola a una sconosciuta può significare beccarsi una denuncia e finire sotto processo in trasmissioni come “forum”, per soddisfare le brame di qualche idiota in cerca di notorietà.
Io sono tra i meno coraggiosi, e mi volto immediatamente a guardare il panorama, cercando sempre di anticipare con lo sguardo i segni evidenti del mio rientro in Piemonte, a Torino, a casa...
Anche gli altri evitavano di guardarla, lasciandole quel minimo di privacy che è quasi impossibile trovare in questi vagoni, o forse evitando di venire coinvolti nella sua furia (vero che stava piangendo, ma non era in pericolo di vita: nessuno sarebbe stato accusato di omissione di soccorso).
Superata la stazione di Rho Fiera, mi rendo conto che in realtà non sto vedendo nulla, perché il mio cervello pensava ad altro... no, non pensavo alla sconosciuta che sedeva di fronte a me e di cui vedevo ogni tanto il volto riflesso nel finestrino non eccessivamente pulito.
La mia mente divagava verso un pensiero fisso, il pensiero di una persona speciale: una donna, una donna speciale.
Le avevo telefonato poco prima, appena uscito dal colloquio, mentre tornavo verso la stazione, ma sentivo nuovamente la sua mancanza, e senza nemmeno accorgermene, ho preso il cellulare dalla tasca e ho cominciato a scriverle un messaggio.
Una strana sensazione mi ha fatto percepire di essere osservato, e infatti mi accorgo che la ragazza di fronte mi sta guardando mentre digito, ma il suo sguardo era ancora cupo, gli occhi arrossati e l'espressione triste ma quasi feroce: non ho avuto il coraggio di rivolgerle la parola e ho continuato a digitare fingendo di non vederla (era anche un modo per estraniarsi dal resto dell'ambiente, in fondo).
Evidentemente stavo sorridendo, mentre scrivevo, per cui non è stato difficile capire quali fossero i miei pensieri.
Non mi ero nemmeno accorto che avevamo superato Magenta, mentre scrivevo (ok, sono lentissimo a scrivere, lo ammetto) ma all'improvviso, mentre si avvicinava il Ticino e quindi l'ingresso in Piemonte, e mentre mi tornavano in mente vecchi ricordi su rituali di ritorno che facevo un tempo con altri compagni di viaggio, al momento di attraversare il fiume ed entrare nelle terre leggendarie, ecco che, come un meraviglioso benvenuto, il telefonino comincia a vibrare nella mia mano, attaccando immediatamente a squillare e visualizzando il numero di lei, come se avesse percepito i miei pensieri.
Rispondo immediatamente, malgrado l'affollamento e la confusione dentro il treno, sorridendo felice mentre le parlavo, ebbro di gioia al suono della sua dolcissima voce, delle sue risate allegre e gioiose, del suo tono che si abbassa come a sussurrare quando mi dice che mi vuole bene, e di mille altri particolari che nemmeno io saprei descrivere, eppure sono tutti parte di lei e mi piacciono tutti...
Nemmeno mi rendevo conto del pienone del treno, come non mi sono accorto che la ragazza di fronte ha continuato a guardarmi per tutto il tempo della telefonata.
Quando ho concluso la telefonata, ho ripreso a scrivere il messaggio lasciato a metà (si, lo ripeto: sono lentissimo a scrivere messaggi) e infine l'ho inviato, senza nemmeno accorgermi della mia espressione (l'unico vantaggio di essere un vampiro è che non mi vedo negli specchi... ;) )
Un attimo dopo, malgrado la simulazione di privacy che cercavo di lasciare alla mia “compagna di viaggio”, mi accorgo che la ragazza piglia il cellulare, ma io ho ricominciato a guardare fuori: ormai siamo in vista di Novara e il treno comincia a rallentare, ed essendo ormai entrati in Piemonte (anche se Novara non è propriamente Piemonte), i miei occhi cercano di intravedere i segni della vicinanza di casa, ma ovviamente qua siamo ancora parecchio distanti.
L'ho detto: è impossibile rispettare la privacy degli altri, su questi treni, infatti, pur non volendo, ho ascoltato la sua telefonata come lei aveva ascoltato la mia prima.
Ho sentito che la ragazza ha telefonato al fidanzato, col quale aveva litigato mezz'ora prima, alla partenza da Milano, e ho sentito anche che non piangeva e non urlava più, anzi, la sua voce sembrava serena e allegra, ma ho continuato a fissare il panorama del caratteristico campanile di Novara che diventava sempre più grande e vicino, segno che anche la stazione si avvicinava.
Guardavo fuori, ma non ho potuto fare a meno di sentire che si stava riappacificando, e soprattutto non ho potuto fare a meno di sentirla dire: «Scendo qua a Novara e torno indietro col primo treno, mi aspetti alla stazione?»
Un attimo dopo, il treno si è fermato a Novara e lei si è alzata per scendere, io mi sono scostato per lasciarla passare e lei mi ha sorriso e ringraziato, anche se non ho capito se mi ha ringraziato per essermi scostato e averla lasciata passare o se c'entrasse qualcosa la mia espressione durante la telefonata e la scrittura del messaggio, che l'hanno indotta a rappacificarsi col suo fidanzato... in fondo, se era valido il primo motivo, per quale ragione avrebbe dovuto poi voltarsi verso di me e salutarmi sorridendo dal finestrino appena scesa?
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