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sabato 2 ottobre 2010

Ritorno a casa

Finalmente sono alla stazione di Milano centrale.
Che ci faccio a Milano, specie dopo che ho giurato e spergiurato di non tornarci mai più, visto che ogni volta mi sono trovato malissimo?
Ci ho fatto un colloquio di lavoro, ecco che ci ho fatto. Un colloquio che spero possa dare i suoi frutti, ma che mi obbligherà a giocare le mie carte in un modo diverso da quello che avevo preventivato, ma non è questo il succo del discorso che stavo iniziando.
Al termine del colloquio, sono tornato verso la stazione per prendere il treno e tornare a Torino il più presto possibile: io detesto Milano! Si, la detesto: è una megalopoli immensa, caotica, invivibile, insopportabile. L'aria stessa è aliena.
Turisticamente non mi soddisfa affatto, e nemmeno stavolta mi ha soddisfatto, con tutto che, all'uscita dal colloquio, al posto di tornare direttamente alla stazione rifacendo all'inverso il percorso iniziale, ho proseguito da un'altra direzione portandomi verso la zona centrale “turistica”, ho rivisto folle immense di ogni nazionalità, monumenti caratteristici e imponenti, monumenti che visti una volta basta e avanza.
Ho trovato un giardino dove, seduto su una panchina, ho soddisfatto le esigenze del mio stomaco con una pizzetta e una bottiglietta d'acqua, prima di tornare alla stazione.
Entro nell'edificio e scopro dal tabellone che, a breve, un treno regionale sarebbe partito per Torino, il mio cuore ha esultato di felicità a quella vista, potevo tornare a casa molto prima del previsto.
Il tabellone non dava indicazioni sul binario, ma non conta molto per un esperto viaggiatore come me: avevo visto chiaramente che il tabellone degli arrivi segnalava l'arrivo di un treno da Torino circa una ventina di minuti prima, e si sa che è lo stesso treno che ripartirà per il viaggio di ritorno, per cui mi approssimo al binario dove dovrebbe arrivare.
Ho con me il biglietto, e mi avvicino alla macchinetta per timbrare, ma non funziona, allora mi sposto sull'altro binario e anche lì la macchinetta non funziona, procedo verso l'altro binario ancora e finalmente riesco a timbrare, poi torno al binario dov'è arrivato il treno, dove una folla immensa con in comune solo un'espressione vuota e spenta si riversa sul marciapiedi della stazione, trainando valige e camminando incurante verso le proprie destinazioni, mi sono rivisto nella scena della mattinata, mentre anch'io ero in mezzo a una folla simile, ma ora non era un problema: ora tornavo a casa, il mio sguardo non era più spento, il mio animo era nuovamente sereno e non più oppresso da cupi segnali di tenebra.
La folla che aspettava invece di accalcarsi sul treno era apparentemente più serena, ma anche in loro gli sguardi erano spenti, si poteva chiaramente intuire che ognuno di loro aveva dovuto rinunciare a moltissimi sogni, per vivere la propria esistenza.
La folla si lancia di corsa verso le carrozze in testa, per fare poca strada all'arrivo a Torino, ma io non ho problemi a camminare: è tutto il giorno che cammino, visto che la mia destinazione era al di fuori del tragitto delle metropolitane e non ho avuto altro metodo che ricorrere al “pedonibus”.
Salgo nella carrozza di fondo ed entro nel vagone, dove il caldo sparge l'odore di tutto quello che c'era dentro fino a pochi minuti prima: odori di plastica, di ferro, di finta pelle dei sedili, odori di tutti i passeggeri precedenti, odori dei cibi che qualcuno ha mangiato durante il viaggio, odori di un treno appena giunto a una stazione.
I regionali non hanno scompartimenti, ma un corridoio centrale e due file di posti per lato, raggruppati a salottino in numero di quattro. Io entro e mi accomodo sul primo posto accanto al finestrino, nella direzione di marcia (ho bisogno di vedere in direzione di casa, non di vedere nuovamente verso Milano), e ben presto il vagone si riempie.
Di fronte a me siede una coppia giovane con un bimbetto di pochi mesi, in braccio a lei, ma dopo alcuni istanti lei si sposta nel sedile accanto al mio, evidentemente per non essere disturbata dal viaggiare contromano, e mi permette di distendere un po' le gambe (quei sedili sono letali per le persone alte come me).
Sento l'altoparlante dare il segnale di partenza, quando entra una ragazza nel vagone, una ragazza che parla al telefonino in tono alterato: sta litigando con qualcuno.
Si siede furiosamente nel posto di fronte a me, obbligandomi a ritirare le gambe contro il sedile, e continua a parlare in tono nervoso e irato al telefonino, parla con qualcuno che non può essere altro che il fidanzato ed evidentemente hanno appena litigato, le parole sono crudeli e feroci, come in ogni litigio.
Il treno parte e lei continua a litigare, finché imprecando stacca la comunicazione e poi continua a imprecare, mentre le lacrime escono dai suoi occhi e scendono lungo le sue guance.
Nessuno ha però il coraggio di dirle qualcosa, in una società come la nostra dove rivolgere la parola a una sconosciuta può significare beccarsi una denuncia e finire sotto processo in trasmissioni come “forum”, per soddisfare le brame di qualche idiota in cerca di notorietà.
Io sono tra i meno coraggiosi, e mi volto immediatamente a guardare il panorama, cercando sempre di anticipare con lo sguardo i segni evidenti del mio rientro in Piemonte, a Torino, a casa...
Anche gli altri evitavano di guardarla, lasciandole quel minimo di privacy che è quasi impossibile trovare in questi vagoni, o forse evitando di venire coinvolti nella sua furia (vero che stava piangendo, ma non era in pericolo di vita: nessuno sarebbe stato accusato di omissione di soccorso).
Superata la stazione di Rho Fiera, mi rendo conto che in realtà non sto vedendo nulla, perché il mio cervello pensava ad altro... no, non pensavo alla sconosciuta che sedeva di fronte a me e di cui vedevo ogni tanto il volto riflesso nel finestrino non eccessivamente pulito.
La mia mente divagava verso un pensiero fisso, il pensiero di una persona speciale: una donna, una donna speciale.
Le avevo telefonato poco prima, appena uscito dal colloquio, mentre tornavo verso la stazione, ma sentivo nuovamente la sua mancanza, e senza nemmeno accorgermene, ho preso il cellulare dalla tasca e ho cominciato a scriverle un messaggio.
Una strana sensazione mi ha fatto percepire di essere osservato, e infatti mi accorgo che la ragazza di fronte mi sta guardando mentre digito, ma il suo sguardo era ancora cupo, gli occhi arrossati e l'espressione triste ma quasi feroce: non ho avuto il coraggio di rivolgerle la parola e ho continuato a digitare fingendo di non vederla (era anche un modo per estraniarsi dal resto dell'ambiente, in fondo).
Evidentemente stavo sorridendo, mentre scrivevo, per cui non è stato difficile capire quali fossero i miei pensieri.
Non mi ero nemmeno accorto che avevamo superato Magenta, mentre scrivevo (ok, sono lentissimo a scrivere, lo ammetto) ma all'improvviso, mentre si avvicinava il Ticino e quindi l'ingresso in Piemonte, e mentre mi tornavano in mente vecchi ricordi su rituali di ritorno che facevo un tempo con altri compagni di viaggio, al momento di attraversare il fiume ed entrare nelle terre leggendarie, ecco che, come un meraviglioso benvenuto, il telefonino comincia a vibrare nella mia mano, attaccando immediatamente a squillare e visualizzando il numero di lei, come se avesse percepito i miei pensieri.
Rispondo immediatamente, malgrado l'affollamento e la confusione dentro il treno, sorridendo felice mentre le parlavo, ebbro di gioia al suono della sua dolcissima voce, delle sue risate allegre e gioiose, del suo tono che si abbassa come a sussurrare quando mi dice che mi vuole bene, e di mille altri particolari che nemmeno io saprei descrivere, eppure sono tutti parte di lei e mi piacciono tutti...
Nemmeno mi rendevo conto del pienone del treno, come non mi sono accorto che la ragazza di fronte ha continuato a guardarmi per tutto il tempo della telefonata.
Quando ho concluso la telefonata, ho ripreso a scrivere il messaggio lasciato a metà (si, lo ripeto: sono lentissimo a scrivere messaggi) e infine l'ho inviato, senza nemmeno accorgermi della mia espressione (l'unico vantaggio di essere un vampiro è che non mi vedo negli specchi... ;) )
Un attimo dopo, malgrado la simulazione di privacy che cercavo di lasciare alla mia “compagna di viaggio”, mi accorgo che la ragazza piglia il cellulare, ma io ho ricominciato a guardare fuori: ormai siamo in vista di Novara e il treno comincia a rallentare, ed essendo ormai entrati in Piemonte (anche se Novara non è propriamente Piemonte), i miei occhi cercano di intravedere i segni della vicinanza di casa, ma ovviamente qua siamo ancora parecchio distanti.
L'ho detto: è impossibile rispettare la privacy degli altri, su questi treni, infatti, pur non volendo, ho ascoltato la sua telefonata come lei aveva ascoltato la mia prima.
Ho sentito che la ragazza ha telefonato al fidanzato, col quale aveva litigato mezz'ora prima, alla partenza da Milano, e ho sentito anche che non piangeva e non urlava più, anzi, la sua voce sembrava serena e allegra, ma ho continuato a fissare il panorama del caratteristico campanile di Novara che diventava sempre più grande e vicino, segno che anche la stazione si avvicinava.
Guardavo fuori, ma non ho potuto fare a meno di sentire che si stava riappacificando, e soprattutto non ho potuto fare a meno di sentirla dire: «Scendo qua a Novara e torno indietro col primo treno, mi aspetti alla stazione?»
Un attimo dopo, il treno si è fermato a Novara e lei si è alzata per scendere, io mi sono scostato per lasciarla passare e lei mi ha sorriso e ringraziato, anche se non ho capito se mi ha ringraziato per essermi scostato e averla lasciata passare o se c'entrasse qualcosa la mia espressione durante la telefonata e la scrittura del messaggio, che l'hanno indotta a rappacificarsi col suo fidanzato... in fondo, se era valido il primo motivo, per quale ragione avrebbe dovuto poi voltarsi verso di me e salutarmi sorridendo dal finestrino appena scesa?

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