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lunedì 2 febbraio 2009
Leggende sui Draghi 1° parte
LEGGENDE
Leggenda di Santa Marta
Sconfisse un drago nei tempi in cui lei stava evangelizzando la Provenza. Si narra che un terribile ed enorme drago chiamato “Tarasca”, devastasse le fertili pianure della valle del Rodano e impedisse agli uomini di vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa, venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di Acqua Benedetta e segnandola con il Segno della Croce. Infine, mansueta e addomesticata, legò alla sua cintura la coda del mostro e lo portò nell’odierna città di Tarascona, che dal drago prese il nome. La popolazione si vendicò dei soprusi e delle barbarie lapidando il drago.
Da allora ogni 29 giugno la Chiesa ricorda Santa Marta e nella città di Tarascona si tiene una solenne processione aperta dal fantoccio dell’impressionante Tarasca con le fauci spalancate. Nei pressi una ragazza vestita di bianco benedice il mostro, che alla fine viene legato e sopraffatto.
Leggenda di San Giorgio
Visse, nella zona di Diospolis, in Palestina; fu decapitato a Nicomedia per ordine di Daziano Preside, nell’ambito delle persecuzioni di Diocleziano, intorno all’anno 287. Nel XII secolo, importata dai Crociati, cominciò a circolare la leggenda secondo la quale San Giorgio, giunto a Silene (Libia) dalla Cappadocia, aveva ucciso un drago in procinto di divorare una principessa legata ad uno scoglio. Giorgio diventò l’uccisore di draghi per eccellenza, e fu adottato come patrono dell’Inghilterra da Edoardo III intorno al 1348. Il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii” racconta che San Giorgio ha vissuto in Brianza, dalle parti di Asso. Un drago imperversava da Erba fino in Valassina, ammorbando l’aria con il suo fiato pestifero e facendo strage di armenti. Quando ebbe divorato tutte le pecore di Crevenna, la gente del paese cominciò a offrirgli come cibo i giovani del villaggio, i quali venivano estratti a sorte; il destino volle che tra le vittime designate vi fosse anche la principessa Cleodolinda di Morchiuso, fu lasciata legata presso una pianta di sambuco. San Giorgio giunse in suo soccorso dalla Valbrona, e, per ammansire la belva, le gettò tra le fauci alcuni dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del sambuco. Il drago, docile come un cagnolino, seguì tranquillamente Giorgio fino al villaggio; qui, di fronte al castello, il Santo lo decapitò con un solo colpo di spada, e la testa del mostro rotolò fino al Lago di Pusiano. In ricordo dell’avvenimento, ancora oggi il 24 Aprile, giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. I Pan meitt si gustano tradizionalmente con la panna: per questo l’eroico San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, dei militari, dei boy-scout e di Ferrara, è anche il protettore dei lattai lombardi, che un tempo tenevano in negozio un altarino a lui dedicato.
Leggenda di Sant'Efflem
Si narra che un principe avesse individuato la tana di un Drago che terrorizzava i suoi sudditi e in qualità di sovrano aveva il dovere morale di difenderli uccidendo o scacciando la bestia. Nella sua impresa chiese l'aiuto a Efflem, il parroco della sua città che a quel tempo ancora non era Santo, e i due si diressero insieme verso la tana del Drago per porre fine alle sue malefatte. Arrivati davanti la tana però il Principe si fece prendere da un profondo terrore, sentiva il respiro del Drago che da solo bastava a far tremare di paura qualsiasi uomo. A questo punto intervenne il Chierico che disse al Principe di non aver paura, perchè chi era sotto la benedizione di Dio non doveva temere nulla. Il Principe però era immobilizzato, allora Efflem dopo essersi fatto il segno della Croce entrò nella tana del Drago che quando lo vide non solo non riuscì ad attaccarlo, ma si precipitò fuori dalla tana, scappando lontano, fino ad arrivare sulle rive dell'oceano dove si racconta che vomitò sangue.
Questo mostra come il male (nel caso specifico il Drago) ha paura più dello scudo interiore di fede che non delle spade e delle armature!
Leggenda di Beowulf
Secoli fa, quando ancora gli eroi dominavano le terre del Nord, una figura vestita di stracci avanzava carponi lungo una spiaggia rocciosa della Scandinavia alla ricerca di una via per arrampicarsi sulla scogliera soprastante. Era uno schiavo che fuggiva dal suo padrone, un signore del regno dei Geat e, sebbene di lui non si sappia nemmeno il nome, le sue gesta epiche cambiarono il destino del suo popolo”. Nella prima parte della leggenda, lo schiavo vagando lungo la riva si imbatte in un enorme tumulo di pietre, forse tomba di un antico re. Trova l’entrata e penetra nel tumulo. “Si trovava in una stanza del tesoro, dove erano ammassate le ricchezze di una potente e sconosciuta tribù del passato. Braccialetti d’oro a forma di serpente, spille in filigrana d’argento, spade di ferro dall’impugnatura dorata, coppe in ceramica rossa di Samo, amuleti dell’antico dio Thor, monete luccicanti riempivano l’intera caverna. Stava già per avventarsi su quelle meraviglie, quando qualcosa gli gelò il sangue, bloccando ogni suo movimento”. Ed ecco apparire il drago. “avvolto in grandi spire, era acquattato sulle zampe dai lunghi artigli; i fianchi squamosi luccicavano, le ali membranose erano piegate, la grande testa riposava sul pavimento della caverna e le pesanti palpebre erano chiuse su occhi vecchi di secoli”. A questo punto lo schiavo non vuole altro che tornare dal suo padrone, così prende una coppa d’oro per farsi perdonare e fugge dal tumulo. “Quello schiavo, però, disturbando il guardiano del tesoro, aveva decretato la fine del suo popolo. Infatti il drago poteva vedere e sapere tutto, così, quando si risvegliò si accorse subito del furto commesso e avvertì immediatamente l’odore di carne mortale.
Lentamente, trascinò le proprie pesanti spire lungo lo stretto passaggio che conduceva fuori dalla sua tana e, alla luce ormai fioca della sera, osservò la landa desolata alla ricerca delle tracce lasciate dai piedi dell’intruso; appena ebbe trovato ciò che cercava, con un grido e un getto di fuoco, s’innalzò in volo, sbattendo le grandi ali verso il regno dei Geat. Sorvolò tutti i villaggi e le sue urla agghiaccianti fecero precipitare gli abitanti fuori dalle case, i volti cinerei levati verso il cielo; sopra di loro, il drago volteggiava in una danza di morte, lanciando il suo grido terrificante mentre iniziava la discesa.
I suoi colpi furono rapidi e terribili: sputando lingue di fuoco, investì i tetti delle case e scomparve in lontananza. In quella terra, tutte le abitazioni, anche quella del re, erano costruite in legno, canne e paglia, furono perciò facili bersagli per il fuoco del drago. In tutto il regno dei Geat, quella notte il cielo venne rischiarato da alte lingue di fuoco che si levavano dai villaggi, che bruciavano come pire funerarie.Niente sfuggì alla furia del drago, e, quando giunse l’alba, le case dei Geat erano ridotte in cenere; dai villaggi si innalzavano sottili fili di fumo accompagnati dagli strazianti lamenti delle donne”. A questo punto il re dei Geat, il mitico Beowulf ma molto più anziano, si arma, si reca al tumulo del drago assieme ai suoi migliori combattenti e affronta il mostro. Solo uno dei compagni del re parteciperà allo scontro, il nobile Wiglaf, e così il re e il drago si uccideranno a vicenda.
Quest'ultima leggenda prende le sue origini da un fatto realmente accaduto in Scandinavia, cioè un immane incendio che sembrerebbe proprio essere stato scatenato da un drago.
Leggende Mesopotamiche
In esse si narra di due esseri primordiali, Apsu, lo spirito dell'acqua corrente e del vuoto, e Tiamat, lo spirito dell'acqua salmastra e del caos.
Tiamat e Apsu corrispondono come aspetto ai draghi del nostro immaginario, cioè all'unione di tutti gli animali allora conosciuti, generando così quelle creature dall'aspetto imponente e che incute timore tipiche di tutte le leggende in cui i draghi compaiono.
Queste due creature generarono dapprima gli dei, poi quando questi si ribellarono al caos che i genitori rappresentavano uccidendo il padre Apsu, Tiamat generò tantissimi mostri per vendicare il compagno e perseguitare gli dei.
Gli dei elessero Marduk come loro campione e questi uccise la madre e catturò i mostri da lei generati rinchiudendoli negli inferi.
La leggenda vuole ancora che dal corpo della madre Marduk creasse con una metà il firmamento e con l'altra la terra,Nei cieli eresse la dimora degli dei inserendo la luna e le stelle come guardiane del tempo. Con il sangue di uno dei figli di Tiamat creò gli esseri umani.
In questa leggenda non si ha solo la presenza di due draghi, ma essi rappresentano l'inizio del mondo, il caos da cui tutto è stato plasmato, la forza della natura sia benigna che maligna. Eventi a cui gli uomini hanno da sempre cercato di dare una spiegazione e questa storia-leggenda è ciò che in quelle terre rappresenta la nascita del mondo e degli uomini: il caos sono i draghi, i loro primi figli, gli dei, sono i difensori degli uomini e i creatori del mondo e degli uomini.
Tuttavia tra le divinità babilonesi vi era una creatura chiamata Mushushu che nella fisionomia ricordava proprio un drago dai tratti bonari e protettivi. Da ciò si capisce che malgrado da un lato il drago rappresentasse il caos e la natura maligna, dall'altro era anche un protettore, cioè rappresentava la natura benevola.
Leggende Egiziane
In questa terra il drago Apopi rappresentava gli abissi che inghiottivano il sole ogni volta che tramontava e che cercava di trattenerlo uscendone sempre sconfitto.
Apopi era il sovrano degli inferi che si trovava all'orizzonte dove il sole- Ra si inabissava, nel suo ciclo da est a ovest, e intraprendeva con il drago un duro combattimento per poter risorgere all'alba successiva. La metafora della vita riassunta in un giorno che si ripeterà fino alla fine dei tempi.
Leggende Greche
Qui il drago generatore del caos era Tifone, un titano (i primi esseri onnipotenti creati dalla natura e precedenti la venuta degli antichi dei) dall'aspetto spaventoso: un drago con cento teste ognuna delle quali dotata di occhi fiammeggianti, alto più delle montagne e con una enorme bocca che vomitava fuoco e sassi.
Il drago si mosse contro i giovani dei per distruggerli, seminando distruzione lungo tutto il suo cammino. Solo l'allora giovane Zeus lo affrontò riuscendo a relegarlo nel Mar Ionio imprigionandolo con un'isola, l'attuale Sicilia. La rabbia del drago generava dalle eruzioni dell'Etna.
La battaglia ebbe come territorio la Grecia e la Siria e da essa furono generati i vari fiumi che attraversano ancora oggi i due territori.
I tifoni vennero chiamati così per il paragone del loro potere distruttivo con quello del drago-titano Tifone.
Anche in altre leggende di eroi greci ritroviamo il drago, spesso di colore rosso, sul quale l'eroe di turno riesce sempre ad avere la meglio.
Le mele d'oro: Ercole incaricato da un re mortale di portargliele si mette d'accordo con Atlante affinché egli affrontasse il drago a guardia del giardino
Vello d'oro: Giasone avrebbe ottenuto il prezioso cimelio solo se avesse seminato i denti del drago, che avrebbe affrontato con successo, come gli aveva promesso il re della Colchide. Il piano di quest'ultimo era che i soldati nati dai denti avrebbero ucciso Giasone, ma Medea (figlia del re e innamorata di Giasone) aiutò il giovane eroe e grazie alla sua magia Giasone riuscì ad avere il vello e lei partì con lui.
Leggende Norrene
Anche nelle leggende celtiche vi era la presenza dei draghi.
Vi troviamo Nidhogg che attentava alla vita dell'albero della vita Yggdrasil. Particolarità di questo drago, e di tutti gli altri della mitologia nordica, era l'assenza di zampe e la capacità di parlare tutte le lingue per circuire le persone. Quest'ultima capacità (la comprensione delle lingue degli animali, in particolare) la si poteva acquisire mangiando il cuore del drago, mentre bagnarsi nel suo sangue rendeva invulnerabili.
Altro drago norreno era Jotunheim (figlio di Loki e della gigantessa Angrboda, ma a partorire fu Loki, in quanto non si uni carnalmente alla gigantessa ma ne mangiò il cuore, unica cosa di lei rimasta dopo che gli asi la punirono per la sua malvagità) un gigantesco drago serpentiforme che Odino gettò nel mare e che crescendo arrivò a stringere nelle sue spire il regno degli uomini. Alla fine dei tempi lotterà con Thor e si uccideranno a vicenda.
Fanfir era in realtà un nano dalle fattezze di drago che custodiva il tesoro dei nibelunghi e che venne sconfitto e ucciso da Sigurd/Sigfrido che così si impadronì del tesoro custodito dal nano-drago.
Inoltre mangiandone il cuore riuscì a comprendere la lingua degli uccelli e grazie al bagno che face nel sangue del drago divenne invulnerabile.
Fonti:
http://geocities.yahoo.com
www.mondimedievali.net
www.ilguerriero.it
www.satyrnet.it
http://bluedragon.it
http://olay.bazaar.net
www.croponline.org
www.animalplanet.it
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